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Al di là del suo territorio,  l’Italia continua
            infatti  in mare nelle zone di sovranità  e
            di giurisdizione nazionale che via via si
            estendono a partire dalle coste verso il largo
            dove ci sono gli spazi marittimi di altri Paesi
            o le aree di alto mare. Un’Italia sconosciuta ai
            più, estesa all’incirca il doppio del territorio
            emerso, che presenta aspetti strategici
            rilevanti per la difesa dei diritti e degli
            interessi del Paese. Dove finiscono le acque
            territoriali inizia ad esempio la Pc che può
            considerarsi lo scrigno della dimensione
            subacquea in quanto racchiude le risorse
            naturali che appartengono allo Stato, quali
            idrocarburi, minerali strategici, terre rare,
            geotermia. Questo diritto è sancito dalla
            Convenzione del diritto del mare (Unclos)
            che considera la Pc «prolungamento
            naturale del territorio terrestre», con ciò
            lasciando intendere che i diritti sovrani
            dello Stato costiero presentino una valenza
            particolare, diversa da quella dei diritti
            esercitabili nelle altre zone di giurisdizione
            nazionale. D’altronde, il concetto di Pc nasce
            ad iniziativa degli Stati uniti nel 1945 con
            finalità non solo economiche, all’indomani
            della fine della II Guerra mondiale, quando
            sui fondali al largo  delle coste statunitensi
            dell’Atlantico, si era profilata la minaccia
            della flotta subacquea del Terzo Reich.
            Una minaccia alla sicurezza dei fondali
            dei mari europei, Baltico e Mediterraneo
            in primis, è attualmente rappresentata
            dalla c.d.  shadow fleet  russa.  Si tratta
            di decine di mercantili difficilmente
            tracciabili, con bandiera ombra e bassi
            standard di navigabilità, che in alcuni casi
            sono state sospette di essere coinvolte
            nel danneggiamento di infrastrutture
            subacquee.
            Ma come contrastare azioni di sabotaggio
            di cavi e condotte subacquee di fronte
            alla mancanza nell’Unclos di norme
            internazionali che autorizzino l’enforcement
            come avviene per la pirateria? Come
            garantire la vita di nazioni sempre più
            dipendenti da forniture energetiche via
            pipelines e da interconnessioni elettriche e
            digitali subacquee? E come impedire il fai da
            te di sommergibili civili che come accaduto
            al “Titan” si rivelino inadatti a immergersi e
            rappresentino in sé un fattore di insicurezza
            marittima? La comunità internazionale, ONU
            ed EU in testa, si sono posti l’interrogativo
            evidenziando l’esigenza di adottare misure
            preventive basate sul rafforzamento della
            sorveglianza navale e sulla cooperazione
            tra  Stati  ed operatori  pubblici  e privati.


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