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Giuseppe MARZO






            in un numero ristretto di Paesi. Tuttavia, mentre per il petrolio l’OPEC (organizzazione
            che comprende 13 Paesi), controlla solo un terzo della produzione globale, per alcune
            materie prime critiche la produzione è concentrata in un numero minore di Paesi. Per litio,
            cobalto e terre rare, i tre maggiori produttori controllano i tre quarti della produzione
            globale. In secondo luogo, sia le materie prime critiche che il petrolio necessitano di
            tempi più che decennali fra la scoperta e la messa in produzione di nuovi giacimenti.
            Questa dinamica può innescare il cosiddetto commodity supercycle per cui il prezzo
            di una materia prima, continua ad aumentare a causa di una domanda crescente e
            un’offerta che non riesce a soddisfarla in tempi brevi. Una terza analogia è il declino
            della qualità delle risorse e delle riserve che può essere in alcuni casi, ma non sempre,
            compensato da sviluppi tecnologici.
            Esistono però anche differenze fra petrolio e materie prime critiche. Il petrolio non
            è  riciclabile,  se  si  eccettua  una  percentuale  di  circa  il  10%  utilizzata  per  materiali
            plastici, così il rimanente 90% viene bruciato in varie forme e non può quindi essere
            riutilizzato. Per le materie prime critiche esiste invece, in molti casi, la possibilità di un
            riciclo. Infine, la dinamica di utilizzo è diversa: qualora l’approvvigionamento del petrolio
            venisse interrotto, i nostri trasporti e quindi le nostre economie ne risulterebbero
            immediatamente bloccati; nel caso di materie prime critiche solo le nuove produzioni
            sarebbero interrotte, ma il parco già esistente di pale eoliche e motori elettrici, per
            citare due esempi, continuerebbe a funzionare. Considerando le analogie fra il petrolio
            e le materie prime critiche, per aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti delle
            materie  stesse potremmo  prendere  a  modello  le  politiche  attuate  dopo  gli  shock
            petroliferi degli anni 70. Negli anni 70 quando il petrolio schizzò da 3 a 40 dollari al
            barile, vennero messi in produzione nuovi giacimenti nel Mare del Nord, in Alaska e nel
            Golfo del Messico. Tali giacimenti immisero sul mercato 6 milioni di barili di petrolio,
            non provenienti dall’OPEC, contribuendo così a spingere il prezzo del greggio sotto i
            10 dollari.
            Analogamente, nei prossimi anni si dovrebbe incoraggiare la produzione di materie
            prime critiche nell’UE. Nel caso poi tali risorse non fossero disponibili in Europa, sarebbe
            necessario assicurare forniture diversificate da Paesi terzi affidabili.  È fondamentale
            quindi procedere attraverso  partnership  con Paesi alleati o amici, in una logica di
            friend-shoring e  near-shoring nel breve-medio termine, per poter conseguire nel
            lungo termine l’end state del  re-shoring. Per esempio, l’urgenza di sviluppare canali
            di approvvigionamento  alternativi alla Cina ha spinto l’amministrazione Trump e poi
            quella Biden a promuovere una espansione della cooperazione con alcuni partner (es.
            Australia) e alla creazione di un’alleanza strategica multilaterale, la Minerals Security
            Partnership, a cui hanno già aderito Australia, Canada, Finlandia, Francia, Germania,
            Giappone, Corea del Sud, Svezia, Regno Unito e Unione Europea, con l’obiettivo di
            rafforzare le catene di approvvigionamento di minerali critici e renderli più sostenibili.
            Inoltre, per le materie prime critiche si dovrebbe spingere al massimo per un loro utilizzo
            più efficiente e per il riciclo delle stesse in un’ottica di economia circolare, riducendo di
            conseguenza l’import da Paesi terzi.
            Servono, inoltre, ulteriori investimenti in ricerca e sviluppo e politiche che incentivino
            tecniche per l’utilizzo di una minor quantità di terre rare nelle tecnologie finali o lo
            sviluppo in laboratorio di terre rare sintetiche. A tale riguardo, la Commissione Europea
            nel 2020 ha lanciato il progetto  ERMA (EU Raw Materials Alliance) che si prefigge
            proprio lo scopo di ridurre la dipendenza dall’import di materiali strategici, ivi incluse
            le terre rare, promuovendo investimenti in tecnologie per il riciclo in aggiunta ad azioni


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