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Maria Stefania CATALETA






                    ’attuale intervento israeliano in Libano contro Hezbollah, in realtà, non è una
                    situazione inedita. Già nel 2006, Israele reagì ad attacchi provenienti dal
                    Libano ad opera di Hezbollah. Rispetto a quegli attacchi si sostenne che il
            LLibano non fosse responsabile per mancanza di effettivo controllo su quella
            parte di territorio libanese da cui gli attacchi provenivano, in quanto territori sotto il
            controllo esclusivo di Hezbollah. Malgrado l’incolpevolezza, si ritenne in dottrina che il
            Libano potesse ciononostante essere destinatario di una risposta armata in legittima
            difesa, sia pur proporzionata. Quella del controllo del territorio è un criterio che delimita
            il campo di responsabilità dello Stato che viene attaccato, che diventa destinatario
            dell’intervento armato in quanto incapace di arginare la violenza terroristica. Il controllo
            del territorio è anche quel criterio in base al quale si determina l’eventuale complicità
            dello Stato che ospita il gruppo terroristico, caso nel quale l’attacco armato non è più
            rivolto al solo gruppo terroristico, ma anche allo Stato fiancheggiatore. Nella prassi
            precedente alla Guerra Fredda veniva decisamente condannato l’intervento armato da
            parte di uno Stato nel territorio di un altro Stato, quando questo era effettuato a titolo
            di legittima difesa per colpire o catturare presunti terroristi, quindi contro attori non
            statali. Questo orientamento, tuttavia, si è andato trasformando con il bombardamento
            americano del Sudan e dell’Afghanistan del 1998, che fu considerato lecito da alcuni
            Stati, ma sopratutto con l’intervento militare statunitense in Afghanistan nel 2001,
            a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Più recentemente, la
            questione della liceità di questi tipi di azioni militari è stata sollevata nella lotta all’ISIS
            ad opera di vari Stati intervenuti in Iraq, Libia e Siria. Per tali azioni militari, che devono
            distinguersi da quelle contro il regime siriano in quanto responsabile di gravi violazioni
            dei diritti umani, sono state addotte varie giustificazioni.
            In primis, sono state giustificate sulla base del consenso dello Stato territoriale, come
            nel caso dell’Iraq. In secondo luogo, sul presupposto della liceità della legittima difesa
            contro attori non statali, è stata invocata la legittima difesa collettiva attivata su
            richiesta dello Stato territoriale che si sia ritenuto vittima di un attacco armato da parte
            dell’ISIS. Una terza giustificazione ha ricondotto l’ammissibilità di questi interventi
            alla risoluzione n. 2249 del 2015, che per la prima volta ha autorizzato l’uso della
            forza contro i gruppi terroristici, poiché si raccomandava agli Stati membri dell’ONU   Le torri gemelle dopo
            di adottare “tutte le misure necessarie” (“all necessary measures”) sul territorio siriano   l'attentato dell'11
            e iracheno sotto il controllo dell’ISIS, al fine di prevenire e sopprimere atti terroristici,   settembre
            in quanto la risoluzione definiva l’ISIS come una minaccia senza precedenti alla pace
            e alla sicurezza internazionale. Secondo un’altra argomentazione, l’intervento militare
            avrebbe avuto carattere umanitario in ragione dell’incapacità (inability) o mancanza
            di volontà (unwillingness) degli Stati colpiti di contrastare l’ISIS nel proprio territorio.
            Infine, questi interventi sono stati anche giustificati come una reazione alla violazione
            di obblighi erga omnes o ancora sul presupposto dell’esistenza di un vero e proprio
            conflitto armato contro l’ISIS. Si tratta di argomentazioni che, tuttavia, hanno suscitato
            critiche ad eccezione del caso in cui vi sia il consenso dello Stato territoriale. Negli
            attacchi israeliani in corso nei territori palestinese e libanese, manca questo consenso.
            In simili episodi del passato, in realtà, si è fatto riferimento alla legittima difesa non
            senza perplessità e difficoltà interpretative, poiché l’art. 51 della Carta dell’ONU che
            autorizza la legittima difesa non menziona i gruppi terroristici come destinatari di
            questo uso eccezionale della forza armata. L’uso della forza in legittima difesa contro
            il terrorismo è stato giustificato largamente da USA e Israele anche per difendere
            connazionali  all’estero.  Questo  uso  della  forza  combina  insieme  sia  la  legittima


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